Da Eni la parola diesel è di casa, al punto che non è declinata solo nelle forme fossili. Abbiamo chiesto a Giuseppe Ricci, Chief Refining & Marketing Officer in quante declinazioni è possibile immaginare il ciclo diesel, della riconversione della raffineria di Gela e tanto altro. Di seguito la prima parte dell’intervista. La seconda parte sarà disponibile prossimamente sempre su Diesel Web.

Al Salone dell’auto di Ginevra l’elettrico è stato il driver del marketing. Anche fiere schiettamente industriali come il Bauma insistono sul plug-in. Cosa manca al biodiesel per avere eco-appeal e fornire una garanzia immediatamente spendibile nel paradigma ‘bio’, sfruttando l’efficienza del ciclo Diesel (e centinaia di milioni di euro investiti, soprattutto in Europa, in R&D)?

Il motore diesel soffre ancora a causa del cosiddetto Dieselgate. Nella realtà il motore diesel è molto più efficiente del motore a benzina (circa 25%). Questo consente di risparmiare sui consumi e quindi sulle emissioni di CO2 (tank-to-Wheel). Se poi utilizziamo fuel di origine bio, il risparmio di CO2 valutato su tutto il ciclo di vita risulta molto vantaggioso e confrontabile con l’elettrico (ovviamente se valutato all’interno di una analisi LCA, Life Cycle Assessment).

Quali criticità comporta il gasolio derivato dalle biomasse, in termini di viscosità e impurità, usura del cielo del pistone, della camera di combustione, della testata in generale? Eventuali altre controindicazioni?

Nel caso dell’HVO prodotto da Eni, nelle bioraffinerie di Venezia, a Porto Marghera, e a Gela non ci sono controindicazioni. È composto al 100% da paraffine e isoparaffine, non contiene ossigeno, non è polare e completamente idrofobo. Il processo produttivo, a differenza del Fame, genera un prodotto esente da impurezze, ad elevato numero di cetano. In grado di generare una combustione molto più controllata (fronte di fiamma più omogeneo senza picchi di temperatura e quindi riducendo la formazione di particolato) ed efficiente (minori emissioni di CO2).

PARLANDO DI BIOCARBURANTI: ACCORDO TRA SETTORE AGRICOLO E INDUSTRIALE PER IL BIOMETANO

L’etanolo ha fatto il nido in Brasile. Perché non è esportabile su larga scala per applicazioni industriali e stradali?

L’etanolo è un componente per benzine e, si sa, l’Europa ha un surplus di questo tipo di carburante. Al contrario, deve importare gasolio dal mercato estero. Eni, anche considerando lo scenario di mercato, circa 10 anni fa ha sviluppato nei propri laboratori di ricerca la tecnologia Ecofining per la produzione di componenti vegetali per gasolio che risulta, a oggi e per il prossimo futuro, il carburante di massa, soprattutto per il traffico pesante.

Bioraffineria Eni a Porto Marghera, Venezia
Bioraffineria Eni a Porto Marghera, Venezia

Ecofining, cosa c’è oltre all’olio di palma? Quali materie prime si prestano a questi processi di lavorazione? Quale direzione prendere per disinnescare il conflitto “food vs fuel”?

Il processo Ecofining è in grado di lavorare tutte le tipologie di oli vegetali e grassi animali. Anche quelli esausti, con produzione di gasolio di eccellente qualità. Dal punto di vista R&D, Eni sta inoltre sviluppando due tecnologie per produrre bio-olio di seconda e terza generazione partendo da scarti agricoli e forestali (materiale ligno-cellulosico) e bio-fissazione della CO2 mediante micro-alghe. In entrambi i casi, i bio-oli sono adatti come carica al Ecofining.

Inoltre, è in corso una sperimentazione nel sud della Tunisia di una coltivazione sperimentale di piante di ricino. I frutti potranno concorrere alla produzione di olio non in competizione con il ciclo alimentare. Nel caso i costi di produzione e rese risultino quelli attesi, si potrà procedere a uno scale up della coltivazione su superfici dell’ordine di decine di migliaia di ettari. Quindi avere una valida alternativa all’olio di palma che per normativa europea potrà essere lavorato fino al 2030.

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