Come ha dimostrato Steve Jobs, risollevando dalle ceneri le sorti di Apple, spesso «una buona presentazione vale più di ciò che vendi». E non a caso era celebre per la maniacale cura che dedicava a ogni sua uscita pubblica, provandola e riprovandola per giorni. Un esempio che Elon Musk pare avere trascurato, perlomeno in occasione della presentazione dell’ultima trimestrale 2023 Tesla agli azionisti. Se sia stata l’infelice frase «Con il Cybertruck ci siamo scavati la fossa» oppure la maldestra analisi del calo dell’11% dei ricavi per unità venduta rispetto al 2022 in seguito alla guerra dei prezzi ingaggiata con i costruttori cinesi è difficile dirlo. Quello che è certo che il titolo del costruttore americano ha bruciato 70 miliardi di dollari di capitalizzazione in una giornata, più di 20 dei quali dello stesso patrimonio personale di Musk. 

Un “mini disastro”, secondo gli analisti di Wall Street, che ha innescato previsioni al ribasso tra i fornitori di Tesla. Sia Panasonic sia LG hanno infatti rivisto drasticamente le previsioni di utili per il 2023 e, mentre i giapponesi hanno giustificato il taglio della produzione con questioni di “rotazione del magazzino”, il direttore finanziario di LG Energy Solution, Lee Charng Sil, ha spiegato al Financial Times la frenata nello stabilimento polacco con il fatto che «la domanda di EV nel 2024 potrebbe essere inferiore alle aspettative: gli alti tassi di interesse frenano la spesa dei consumatori in Usa e la crescita rallenta in Europa». Ciliegia sulla torta, l’annuncio di Toyota di 8 miliardi di investimenti per incrementare da due a dieci le linee produttive nello stabilimento del North Carolina che costruisce le batterie per i propri sistemi ibridi e ibridi plug-in. Per la serie: auto a batteria, chi ci crede? Si moltiplicano poi le perplessità sul Cybertruck, opzione di Tesla sul mondo molto a stelle e strisce dei pick-up. Musk lo promette da tempo, ma forme avveniristiche a parte, la tara compresa tra sei e settemila libbre (2.720-3.175 chili) rischia di renderlo indigesto alla clientela americana, che infatti snobba il concorrente Ford F-150 Lightning da 6.800 libbre. E la battuta di Elon sul Cybertruck ha fatto ripensare molti investitori all’ammissione di Ford di aver “bruciato” 36mila dollari di perdite per ogni EV venduto nel 2023. Senza dimenticare che il Cybertruck potrebbe risultare invendibile su molti mercati, come quello europeo, dove sfondando il tetto dei 3.500 chili richiederebbe la patente da camion.

Immatricolazioni e valori borsistici

Se per il mondo delle auto l’“annuncio di tempesta” arriva dalle borse, per quello del trasporto commerciale a far squillare i campanelli d’allarme, in apparente contrasto con i dati di immatricolazione in Europa dei primi tre trimestri 2023 diffusi dall’Acea, è l’evoluzione in negativo imboccata delle numerose startup che hanno cercato di seguire le orme di Elon Musk nel mondo degli heavy load. Per chi si accontenta delle percentuali di incremento, un più 423% per la fascia tra 3,5 e 16 tonnellate e più 236 per i pesanti basta e avanza. Ma sono i numeri assoluti a deludere: 2.228 registrazioni su 41.032 complessive per i medi, 1.690 su 227.734 nella classe top non fanno gridare al miracolo. Per non parlare dei furgoni leggeri, dove si parla di meno di 80mila targhe su oltre un milione di mezzi messi in strada.

Iveco e Nikola. E il Tesla Semi?

E, partendo dalla top class, il recente divorzio tra Iveco e Nikola ha messo in luce che nel mondo dei pesanti c’è ben poco spazio per le new entry, fatta eccezione per il trattore di Classe 8 Usa sviluppato da Tesla. Un mezzo avveniristico il Tesla Semi, con un’autonomia che pochissimi hanno potuto davvero toccare con mano e, soprattutto, numeri produttivi a dir poco vaghi se si va oltre i mezzi di test affidati agli operatori. Per il resto, chi come Iveco deve raccogliere il testimone del lavoro con Nikola, annuncia propri mezzi a batteria e fuel cell entro fine anno; altri come Volvo, Scania, Daf, Renault e Mercedes i pesanti a batteria già li propongono, con autonomie in genere nell’ordine dei 4-500 chilometri, la classica distanza che corrisponde a un turno di guida sul tachigrafo. Al di fuori dei costi di produzione, data l’esiguità della rete di ricarica per truck in Europa, la “quadra” ancora in parte da trovare riguarda il difficile equilibrio tra carico utile e autonomia. 

L’uscita di Domenico De Rosa, Ceo del gruppo logistico Smet, secondo il quale «saremmo al paradosso che i veicoli elettrici servirebbero a trasportare le loro stesse batterie a scapito delle merci» ha fatto sorridere molti tecnici, visto che non è vero che «un veicolo elettrico può trasportare circa la metà delle merci di un mezzo a combustione interna», ma i tre pianeti – costi di produzione, payload e autonomia – faticano ad allinearsi, come dimostra nella fascia di peso intermedia la brutta stagione delle start-up.

Non solo ha fatto notizia il default degli svedesi di Volta Trucks che potevano contare su 300 milioni raccolti tra gli investitori, un portafoglio ordini per 5mila veicoli e DB Schenker tra i clienti (per 6.500 mezzi), ma negli ultimi 24 mesi è impressionante il numero dei nuovi costruttori che ha portato i libri in tribunale. 

Può costare fino a un miliardo

È vero che, come sottolineano gli analisti di Reuters, portare un nuovo Lcv sul mercato può arrivare a costare un miliardo di dollari, ma basta tornare alle news del 2021 per constatare che teste di serie come l’inglese Arrival e le statunitensi Lordstown Motors Corp e Elms (Electric Last Mile Solutions) sono ormai un ricordo. Quanto a Canoo, vincitore del Best Concept Award 2021, ha presentato lo scorso agosto il suo furgone Elettra Ldv190 ma è ancora fermo alla preserie, seppur sia stato opzionato dal gigante del commercio Walmart. L’unico Lcv da distribuzione che sta davvero registrando numeri significativi è il Rivian Edv, il “delivery van” in tre taglie diverse (500-700-900) sviluppato per Amazon. La flotta di Edv 700 in servizio infatti ha superato la soglia psicologica delle 10mila unità e il megaordine di 100mila pezzi da consegnare entro il 2030 consente al marchio Usa di guardare al futuro con relativa serenità. Per l’israeliana Ree Automotive e il suo chassis P7-C i problemi vanno oltre la questione produttiva e toccano la politica internazionale; gli ultimi mesi del 2023, in cui sono previste le prime consegne, diranno invece quanto c’è di concreto dietro il progetto della britannica Tevva e del suo camion da 7,5 tonnellate a batteria con range extender fuel cell a idrogeno. L’obiettivo di Tevva, peraltro già mancato, era quello di 10mila pezzi prodotti entro l’anno, ma la prospettiva di 250 chilometri di autonomia, dilatabili di altri 500 con il range extender, ha consentito alla startup di Tilbury, nell’Essex, di restare a galla. Sorte meno certa per il recente minivan componibile in stile Lego della Helixx come per il furgone con le batterie integrate nello chassis in stile Tesla proposto con il nome di eCV1 da Watt Electric Vehicle Company, altra start-up britannica. La killer application, però, rischia di essere cinese e ha alle spalle il colosso Geely, uno dei quattro big di Pechino: per ora è un prototipo ma il SuperVan da 3,5 tonnellate a marchio Farizon Auto atteso nel 2024 è un commerciale che fa parte della famiglia New energy vehicle (Nev) dotata di batteria intercambiabile, cruise control e navigatore intelligenti che programmano e gestiscono la ricarica, nonché di un range extender a metanolo in grado di raddoppiare l’autonomia convenzionale. Dettaglio finale, la carrozzeria è separata dal telaio e, combinata con la guida “drive by wire”, permette infinite possibilità di lunghezza del passo e di allestimento. Se entrerà in produzione, potrebbe davvero annichilire le ambizioni di molti innovatori concorrenti, più ricchi di idee che di esperienza e capitali.  

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