Flessibilità e completezza delle tarature, nel segno di Mtu, la capacità del costruttore di motori di anticipare la prototipazione per assecondare le esigenze progettuali del cantiere, l’ineludibilità – obtorto collo – del post-trattamento con urea tecnica per l’Imo 3, e una voglia nemmeno troppo nascosta di gas naturale liquefatto.
Questo potrebbe essere, in sintesi, il manifesto culturale della sala macchine dei Cantieri San Lorenzo, espressa senza troppi giri di parole da Paolo Bertetti, Vice President R&D del cantiere di Ameglia, nell’immediato entroterra spezzino, a un tiro di schioppo da Arcola, dove ha sede Mtu Italia, alla quale gli yacht San Lorenzo sono legati in modo apparentemente inscindibile. Circa l’85/90 per cento della propulsione è affidata al motorista di Friedrichshafen, migrato insieme a Tognum sotto l’ombrello Rolls-Royce Power Systems. Le motorizzazioni rimanenti sono appannaggio di Caterpillar che, con il C32 e il 3512, soddisfa la fame di cavalli degli armatori più esigenti in tema di muscoli e asseconda le richieste di leasing provenienti da Oltreoceano. In particolar modo sulle dislocanti il 3512, col suo 1,5 Mega di dote, sigilla in alto la curva di potenza delle propulsioni disponibili e pare più che sufficiente a erogare le curve necessarie. L’intero parterre di Mtu è sulle corde di Ameglia, dagli 8 cilindri della serie 2000 (AxC 130×150 mm), a 400 chilowatt a 1.800 giri nella declinazione M61, passando per le varie segmentazioni a 10, 12 e 16 cilindri, che sfiora i 2 Mega, forte di 1.939 kW (2.600 cavalli) a 2.450 giri. Anche la serie 4000, sale sul primo scalino a 8 cilindri (AxC 170×210 mm), dai 746 kW a1.600 giri dell’8V 4000M53R, al 12, al 16 e al 20 cilindri, che si inerpica fino a 3.600 kW a 2.050 giri.
Caterpillar presta invece i 1.417 chilowatt a 2.300 giri del C32 (AxC 145×162 mm) e i 1.765 kW a 1.800 del 58,6 litri (AxC 170×215 mm) siglato 3512, anche se il picco di potenza si tocca col modello 52 Silver, spinto da 1.500 chilowatt.
Il periscopio ligure guarda però oltre allo status quo. Due nomi illustri fanno capolino tra le parole di Bertetti, che spende parole di elogio per l’8 a V di Man, soluzione plausibile se pianificassero la costruzione di scafi di dimensioni ridotte rispetto all’attuale low entry, il 78 piedi (24 metri), mentre l’alto di gamma misura 52 metri fuori tutto. In passato, quando la prima proposta a listino partiva da 62 piedi, la propulsione degli entry level era a cura proprio di Man. L’altra firma citata è quella di Volvo Penta, candidato a equipaggiare con l’Ips un concept innovativo, ancora in fase di sviluppo. A proposito di ammiraglie, l’asticella si potrebbe spostare sopra i 52 metri, sia in vetroresina sia in acciaio e alluminio.
Le ragioni della devozione a Friedrichshafen sono scritte tra le righe e possono essere sintetizzate in queste parole di Paolo Bertetti: «C’interessa parecchio la conformazione del motore in termini di dimensioni e soprattutto la capacità dei costruttori di portarsi avanti con gli sviluppi tecnici per tempo. Quali sono le ragioni di questo interesse? La vita media dei nostri modelli varia mediamente dai 5 ai 7 anni, ai quali seguono ovviamente il rinnovo e l’estensione della gamma. Da questo presupposto nasce l’esigenza di anticipare lo studio di base rispetto all’effettivo ingresso degli yacht nel mercato».
Il concetto è ribadito dalle seguenti parole: «dobbiamo intuire cosa ci aspetta nel futuro, cioè quali motori saranno disponibili e quali dispositivi saranno installati attorno a quei motori, per decifrare le variabili dimensionali che possono in qualche modo influenzare il progetto. In particolare negli ultimi due anni, e di qui al 2021, sono state previste ed entreranno in vigore limitazioni impattanti sul motore. L’esito sarà l’obbligo di adottare sulle barche dei sistemi per ridurre gli NOx secondo le prescrizioni Imo 3. Per farlo dobbiamo capire cosa hanno in mente i motoristi e quanto saranno pronti in anticipo».
L’esito delle elucubrazioni progettuali di Mtu, alla pari di Caterpillar, per restare nel recinto dei fornitori, conferma la mannaia del riduttore catalitico selettivo, alias scr, che su alcuni modelli potrebbe comprimere gli spazi abitabili. E qui torna in gioco l’elemento strategico dell’anticipazione degli ingombri, anche perché una volta stabilite le volumetrie delle barche che saranno in produzione fino al 2021, metterci mano sarebbe una soluzione onerosissima. Se nell’automotive l’scr è un sistema ‘user friendly’, in mare le cose cambiano, in ragione della variabilità e dell’atipicità del funzionamento. Le variabili principali sono la zona in cui l’imbarcazione è operativa e il comandante. Il catalizzatore comporta degli evidenti problemi di assistenza: rimuoverlo non è come smontare una marmitta».

Considerando lo scarso entusiasmo, quale alternativa immagina all’scr?

«Bisogna capire se le normative saranno valide ovunque» premette Bertetti «Ora sono regolamentate le Eca, che non sono così estese. Se il Mediterraneo fosse omologato in modo omogeneo, sono convinto che comporterebbe una grossa spinta alla propulsione a gas. Si potrebbe immaginare un piccolo serbatoio di gas, allocato in una zona dove non dà fastidio, al quale attingere all’ingresso in determinate aree di navigazione e, altrimenti, utilizzare il diesel.
I serbatoi del gasolio sono piatti, messi sotto il pagliolo, seguono fedelmente gi anfratti delle strutture, possono essere alti appena 40/50 centimetri ma estesi da metà sala macchine a metà della zona abitabile, cosa che non posso fare con il gas».

E a proposito dell’ibrido?

«Chiariamoci sul concetto di ibrido. Per uno yacht significa il diesel-elettrico, due fonti di propulsione, una principale, la seconda che si affida ai generatori». Per capirci, l’ingegner Bertetti declina il concetto con un esempio chiaro a chiunque abbia confidenza con la navigazione. «Se si vuole andare a 24-25 nodi lo si può fare col motore principale, se si scende a 10 nodi, beneficiando in silenziosità e in ridotte vibrazioni, si sgancia l’endotermico e ci si affida solo coi generatori. Con questo si può pensare di migliorare l’efficienza energetica del sistema. Sono potenzialmente troppe le ore a bassa velocità, in base alle nostre rilevazioni, con un’escursione tra 240-250 g/kWh e gli ottimali 200-205 g/kWh, che si traduce in un 20 per cento di forbice nel consumo. L’ibrido paga però pegno nell’efficienza nei trasferimenti, con alcuni passaggi supplementari dal motore all’elica».
In conclusione, un riferimento ai gruppi di bordo, dove Kohler power systems fa la voce grossa e Onan segue defilata.
Fabio Butturiimg_0696

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