Deutz Italy. Elettrificazione e Stage V. Parte Prima
Deutz Italy e l’elettrificazione. L’incipit della chiacchierata con Roberto Brivio, Ad di Deutz Italy, ci fornisce un’indicazione didascalica di come stiano cambiando i tempi. Oggetto, l’elettrificazione. Tema forse ancora più da ‘campagna elettorale’ che da mercato reale, sul quale però Deutz si è mossa in anticipo, con l’acquisizione di Torqeedo e recentemente anche di Futavis (specialista di […]
Deutz Italy e l’elettrificazione. L’incipit della chiacchierata con Roberto Brivio, Ad di Deutz Italy, ci fornisce un’indicazione didascalica di come stiano cambiando i tempi. Oggetto, l’elettrificazione. Tema forse ancora più da ‘campagna elettorale’ che da mercato reale, sul quale però Deutz si è mossa in anticipo, con l’acquisizione di Torqeedo e recentemente anche di Futavis (specialista di software gestione batterie), che ha portato in dote, in tempi strettissimi, quanto visto all’Electrip di Colonia, a braccetto con Liebherr e Manitou.
Qui trovate la prima parte della nutrita messe di informazioni emersa dall’intervista. Il focus sulla diffusione dell’elettrico. Nelle prossime newsletter troverete gli altri spunti.
Deutz Italy e l’elettrificazione: cosa succede nel nostro paese?
Come sono recepite in Italia le istanze di ibridi ed elettrici?
«In Italia c’è chi ha cominciato a fare le cose seriamente» esordisce Brivio. «Merlo, per esempio, e Faresin, che si sono avvalsi di risorse ingegneristiche interne. Generalmente l’approccio è basico, con la sostituzione del termico con un motore elettrico, senza mettere mano alla parte idraulica o di trasmissione della potenza. Fa eccezione l’E-Worker, sul quale Merlo ha sostituito la trazione idraulica con quella elettrica, lasciando invariati i comandi idraulici sullo sbraccio. Un altro esempio virtuoso è quello di Carraro Agritalia, che ha sviluppato il trattore ibrido ispirandosi a un concetto di modularità, fissando target abbastanza ambiziosi.
Gli elettrici non sono però novità assolute.
Esistono settori consolidati, come la movimentazione, che usano batterie al piombo, per questioni di costi e di esigenze applicative, come la movimentazione rottami. Esistono anche opportunità legate al contrappeso, che favoriscono le batterie al piombo, e all’impostazione delle quattro ore continuative, che consente di cambiare le batterie durante la pausa pranzo, alternando tra lavoro e carica i pacchi batterie disponibili.
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Sui carrelli l’alimentazione elettrica è una realtà affermata, sulle altre applicazioni siamo invece alla fase prototipale; tutti parlano di piccole serie. Servono due condizioni: un carico medio di utilizzo medio basso, e picchi di grande carico limitati. Bisogna oltretutto garantire mobilità e funzionalità: quando le distanze da percorrere sono molto elevate, l’elettrico soffre. Dipende poi anche dal driver automobilistico e dall’incentivazione pubblica.
Quindi, azzarderebbe una previsione sulla diffusione dell’elettrificazione?
Ritengo che, nel settore delle macchine da lavoro, il business reale sia un po’ più lontano di quanto si pensi. Non sono in grado di dirle se nei prossimi anni sia ragionevole pensare al 5 o al 20 per cento delle quote di mercato. Ad oggi non esiste ancoraun ritorno economico, siamo ancora prevalentemente di fronte ad attività promozionali, che qualificano la propria capacità di ricerca e sviluppo. Ancora non è chiaro dove siano la remunerabilità e le potenzialità di business, e soprattutto è ancora indefinito il nuovo modello di business. E questo soprattutto per quanto riguarda il post-vendita, come per la spinosa questione della vita delle batterie. Si ragiona in termini di cicli di lavoro. Ha sicuramente un senso, ma quando una batteria è veramente scarica?
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