Dieselgate: un affaire tedesco?
Dieselgate 5er-Kreisen, è il turno di Audi, Bmw, Mercedes, che si uniscono a Porsche e Volkswagen. Il cognome di Rudolf ricompare nell’intrigo sempre più tedesco, a partire, suo malgrado, proprio dall’onomastica. Piovono pietre sul Made in Germany e, soprattutto, sui suoi marchi automobilistici premium, coinvolti nello scandalo Dieselgate, di cui Dieselweb ha ricostruito i passaggi salienti. […]
Dieselgate 5er-Kreisen, è il turno di Audi, Bmw, Mercedes, che si uniscono a Porsche e Volkswagen. Il cognome di Rudolf ricompare nell’intrigo sempre più tedesco, a partire, suo malgrado, proprio dall’onomastica.
Piovono pietre sul Made in Germany e, soprattutto, sui suoi marchi automobilistici premium, coinvolti nello scandalo Dieselgate, di cui Dieselweb ha ricostruito i passaggi salienti.
Pietre, anzi macigni, al cui confronto lo scandalo dieselgate e le sue onde di rimbalzo potrebbero apparire come un gioco da bambini. A gettare il sasso nello stagno è stato il settimanale tedesco Der Spiegel, quello della copertina con la pistola sul piatto di spaghetti, che nella sua edizione del 21 luglio ha svelato l’esistenza del capitolo Dieselgate “5er-Kreisen”, cioè un “circolo dei cinque” che fin dagli anni Novanta avrebbe consentito ad Audi, Bmw, Mercedes, Porsche e Volkswagen di condividere soluzioni tecniche, scelta dei fornitori e prezzi dei componenti. A lavorare nel “5er-Kreisen” sarebbero oltre 200 ingegneri dei cinque marchi, distribuiti in più di 60 gruppi di lavoro corrispondenti ad altrettanti ambiti tecnici che spaziano dai meccanismi per azionare il tettuccio delle spider ai sistemi antinquinamento. La prova regina? La tecnologia AdBlue per “ripulire” le emissioni dei motori a gasolio non è di proprietà di nessuno dei cinque marchi, ma dell’associazione di categoria Vda.
Come mai, improvvisamente, quello che potrebbe dimostrarsi il più grande cartello della storia industriale tedesca arriva alla luce del sole? Semplice: non più tardi di 12 mesi fa i grandi costruttori europei di camion, per avere fatto cartello dal 1997 al 2011 nel gestire l’adeguamento dei propri motori alle nuove norme sulle emissioni, sono stati sanzionati dall’Antitrust dell’Unione Europea con una multa da 2,9 miliardi di euro. Unico a “salvare” il portafogli (ma non la faccia), il marchio Man controllato da Volkswagen, avendo rivelato alle autorità di Bruxelles informazioni chiave sull’esistenza dell’accordo. A un anno di distanza, secondo Der Spiegel la storia si starebbe ripetendo. Quando i tecnici del Kartellamt tedesco si sono presentati ai cancelli degli stabilimenti di Wolfsburg per indagare su un ipotetico accordo sui prezzi dell’acciaio, i vertici Volkswagen sarebbero entrati in modalità “allarme rosso”. Dissanguato dalle conseguenze dello scandalo dieselgate, il gruppo Volkswagen-Audi-Seat-Skoda-Porsche-Lamborghini-Bentley si sarebbe reso conto che neppure la ventilata vendita di Ducati avrebbe mai potuto compensare la multa in arrivo dall’antitrust comunitaria. Giusto per dare un’idea della possibile legnata: secondo esperti indipendenti consultati da Der Spiegel la sanzione in arrivo da Bruxelles, facendo riferimento al fatturato 2016, potrebbe essere pari per Volkswagen&Co a più di 20 miliardi di euro; Mercedes ne pagherebbe almeno 15, sempre di miliardi, e Bmw potrebbe fermarsi intorno ai 10 miliardi. Cifre che spiegano perché Wolfsburg avrebbe cercato di bissare la tattica usata per i camion: denunciare tutto in cambio dell’impunità. In gara contro il tempo, nello squarciare i residui veli sul Dieselgate 5er-Kreisen, sempre secondo i segugi di Der Spiegel, con il gruppo Daimler-Benz.
Dieselgate 5er-Kreisen e l’Unione Europea
In attesa di capire come governo tedesco, autorità comunitarie e fornitori intendono reagire alla scoperta del Dieselgate 5er-Kreisen, per non parlare del rischio di class-action da parte dei clienti, non si placa l’aria di bufera sul mondo dei motori a gasolio. In pari data del Dieselgate 5er-Kreisen, l’informatissimo Süddeutsche Zeitung ha raccontato come la commissaria Ue all’industria, Elisabetta Bienkowska, avrebbe intenzione di varare una norma che dal 1° gennaio 2018 fermi in tutta l’Europa comunitaria (27 Paesi) le auto coinvolte nello scandalo dieselgate, quelle col motore EA189 per capirci e che il gruppo Volkswagen sta richiamando forse con un po’ troppa flemma. Tre giorni prima dello scandalo del cartello, i piani alti del gruppo Daimler hanno invece annunciato da Stoccarda una “azione di servizio volontaria” per tre milioni di veicoli venduti in Europa e motorizzati sia dal prestigioso V6 tre litri turbodiesel OM642 sia dal più modesto e diffusissimo due litri quattro cilindri in linea turbodiesel OM651. Propulsori trasversali all’intera gamma della produzione Mercedes, dalla limousine S-Klasse e i suv delle serie M, R e GL alle compatte A e B-Klasse.
Operazione pro diesel
L’operazione – sottolinea Stoccarda – non è un richiamo: l’intervento del costo stimato di 220 milioni di euro non è stato sollecitato da alcuna autorità ma è stato avviato spontaneamente dal gruppo tedesco «per rafforzare la fiducia del pubblico verso questa tecnologia e rassicurare gli automobilisti che guidano vetture diesel». «Siamo convinti» ha precisato Dieter Zetsche, l’“uomo coi baffi bianchi” che governa il gigante di Stoccarda «che i motori diesel continueranno a essere un elemento fisso del mix di sistemi di azionamento, anche a causa delle basse emissioni di CO2». E, in effetti, Zetsche farebbe fatica a sostenere il contrario. C’è la sua firma sotto il piano di investimenti da tre miliardi di euro che sta portando al totale rinnovamento della gamma dei propulsori da due e tre litri con la realizzazione di un sistema modulare di motori in linea con canna da mezzo litro e monoblocco “universale” in alluminio, declinato a benzina a quattro cilindri (M254) e sei cilindri (M256) oppure l’iridato gasolio a quattro cilindri (OM654) e sei cilindri (OM656).
Ad agitare i vertici di Stoccarda, “accendendo la miccia” del (non)richiamo in officina, sarebbero gli esiti di una gigantesca perquisizione dello scorso 23 maggio, condotta da più di 20 magistrati con l’impiego di 230 agenti. Obiettivo dell’indagine – secondo indiscrezioni smentite dalla casa – mettere le mani sulla documentazione della versione in salsa Mercedes del dieselgate. Per riparmiare sul consumo di AdBlue per abbattere le emissioni dei motori Euro5 ed Euro6, secondo la tesi dell’accusa, le centraline dei motori prodotti da Mercedes avrebbero attivato il sistema di iniezione dell’additivo soltanto sul banco a rulli dell’omologazione e in finestre di temperatura ambientale poco coerenti con quelle corrispondenti al reale utilizzo dei veicoli.
Unica consolazione per la casa di Stoccarda, il fatto che pure in casa Audi non si festeggia. Il 7 luglio la procura di Monaco ha addirittura arrestato un ex motorista dei Quattro Anelli, accusato di essere coinvolto nella manipolazione dei software da cui è scaturito il dieselgate. Non è perciò un caso se, sempre il 21 luglio, Ingolstadt ha annunciato una campagna europea di “controlli preventivi” dei propri motori diesel a sei e otto cilindri che riporterà – sempre su base volontaria – 850mila vetture top di gamma prodotte negli ultimi anni in officina per un aggiornamento tecnico. Non si tratta solo di auto a marchio Audi, visto che il sei e otto cilindri diesel – pur riveduti e corretti – sono montati anche da Porsche su Cayenne e Panamera, sul suv Bentley Bentayga e su alcune versioni top del Vw Touareg. Costo dell’operazione, ovviamente, top secret.