Il coronavirus ferma la produzione di macchine agricole. Ma è giusto così?
Rispettando le disposizioni dei governi dei vari Paesi europei, e comunque dovendo fare i conti con la sempre minor disponibilità di componenti, il coronavirus ferma la produzione di tutti i principali costruttori di macchine agricole. Nel Vecchio Continente, soprattutto, hanno pressoché tutti messo in standby le strutture produttive, comprese quelle realtà protagoniste nello specializzatissimo […]
Rispettando le disposizioni dei governi dei vari Paesi europei, e comunque dovendo fare i conti con la sempre minor disponibilità di componenti, il coronavirus ferma la produzione di tutti i principali costruttori di macchine agricole.
Nel Vecchio Continente, soprattutto, hanno pressoché tutti messo in standby le strutture produttive, comprese quelle realtà protagoniste nello specializzatissimo segmento della componentistica che – pur lavorando lontano dalle luci della ribalta – sono essenziali per la produzione di macchine agricole di ogni genere. Tra i player più illustri, hanno ufficialmente dichiarato la sospensione delle attività produttive i gruppi Sdf, Argo Tractors, Fendt, Massey Ferguson, Valtra e Claas. E ovviamente anche le realtà europee di John Deere e CNH Industrial.
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In difficoltà un settore da 11,4 miliardi di fatturato
Ma, considerata l’essenzialità del settore alimentare, e dunque dell’intera filiera coinvolta, stupisce l’esclusione della meccanizzazione agricola dalle attività che sono state messe al riparo dalla scure del decreto del presidente del Consiglio.
In proposito, ha detto la sua il presidente di FederUnacoma, Alessandro Malavolti. «L’elenco dei nuovi codici Ateco stilato dal MISE – ha commentato – esclude di fatto dalle attività ritenute essenziali le nostre produzioni, unico caso in Europa, ponendo un segmento produttivo da 11,4 miliardi di fatturato in gravissima difficoltà».
FederUnacoma ritiene pertanto doveroso fare alcune precisazioni a tutela del settore perché in gioco c’è certamente la massima attenzione nei confronti dei lavoratori, della loro salute ma anche la tenuta di un tessuto industriale che ‘serve’ il Paese e il mondo.
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Detto che alcune delle imprese aderenti a FederUnacoma sin dall’inizio delle restrizioni avevano già deciso la chiusura degli stabilimenti per difficoltà logistiche dovute anche all’incertezza su quelle che sarebbero state le decisioni governative, molte altre realtà aziendali stavano cercando di continuare a lavorare, seppur con linee produttive estremamente ridotte e nel rispetto di tutte le norme emanate dal governo e della sicurezza dei propri dipendenti.
«Siamo dotati di un grande senso di responsabilità e di servizio per il nostro Paese – ha aggiunto Malavolti – Ma è difficile comprendere la mancanza di consapevolezza dell’importante ruolo svolto da questi mezzi meccanici, soprattutto in un momento complesso come questo».
La Federazione ha anche sottolineato il rischio di una concorrenza sleale da parte di competitor internazionali in considerazione del fatto che molti altri paesi ritengono essenziali attività produttive analoghe alle nostre, che hanno quindi la facoltà di continuare a commercializzare al posto delle nostre imprese.
Le restrizioni in vigore scadono, al momento, il prossimo 13 aprile. Entro quella data, dunque, sono attese nuove indicazioni da parte dell’esecutivo.