Massimo Labruna ha fatto l’impresa
Massimo Labruna ha fatto l'impresa, mettendo nero su bianco. Noi l'abbiamo seguito in questa piccola "maratona"
Massimo Labruna è riuscito nell’impresa. Volete sapere quale? La sua, nel double entendre di tentativo andato a buon fine e, più prosaicamente, di successo aziendale. Lo scrive lui stesso, a chiare lettere, nel libro che porta esattamente questo titolo: “La mia grande impresa. Come ho realizzato il grande sogno della mia vita e come puoi farlo anche tu“.
Come lo vediamo noi
Va da sé, ci ricordiamo di Massimo soprattutto per il cognome, estensione di quella sigla, AS, che è diventata familiare a tutti i lettori di POWERTRAIN. Che dire, da distributore di motori a fornitore di soluzioni integrate; da mero interprete commerciale di monoblocchi a ciclo Diesel ad alfiere della elettrificazione. Anzi, perdonateci, poliedrico e laico interprete delle alternative ai fossili, a partire dalle fuel cell al metanolo. Dal 2013 espositore al Mets di Amsterdam. Nel 2019 si è lanciato nell’avventura (sì, un’altra impresa nell’impresa) della manutenzione predittiva, con il Sea4.0. Il 2020 è impresso in calce nei libri di storia per la piaga pandemica, per Massimo Labruna coincide invece con la presentazione del BlueHybrid per la Guardia di Finanza e l’istituzione di LF, per radicarsi nel bacino del Mediterraneo. Il 2022 è un anno pirotecnico, scandito dalla comparsa al bauma Monaco e dalla gran festa a Monopoli per il mezzo secolo di vita di AS. Infine, il 29 dicembre, dalla iscrizione nello statuto sociale di AS dello scopo di benefit, oltre a quello di lucro.
E come si vede lui
«Ho tagliato il traguardo dei dieci chilometri e ne ho fatto anche uno in più» scrive Massimo Labruna. La filigrana narrativa intesa come una corsa campestre. Ogni passo, chilometro dopo chilometro associato alle digressioni, la matrice biografica impressa dalle pietre miliari della formazione scolastica, dell’adolescenza e della parabola familiare. Dallo stadio embrionale del rapporto coni genitori, alla fase della maturità e dell’uscita dalla casa del padre. Anche in questo caso, in una duplice accezione: affrancamento dall’ombra paterna nella gestione dell’azienda e creazione di un nucleo famigliare, composto da lui, dalla moglie e dai due figli. Il 2025, consacrazione dei cinquant’anni, questa volta i suoi. La registrazione all’anagrafe è una moina della cabala: il 5 5 del 75. Una torta di compleanno impregnata di riferimenti simbolici, più che di saccarosio. Affidiamoci dunque a un carosello di espianti dal tessuto del testo, un tagliaecuci delle emozioni, attraverso un collage delle sue parole.
Con le sue parole
«Ore 5.00, suona la sveglia. Mentre silenzio il cellulare, affronto il mio primo conflitto quotidiano. Corro e penso, penso e corro. Mi dico che voglio fare qualcosa di speciale, di imprevedibile per i miei 50 anni. Non una festa, no. In fondo non ho mai festeggiato nulla di personale nella vita. Episodi, ognuno di essi ha contribuito, a suo modo, a farmi passare da piccolo imprenditore con un’impresa familiare da due milioni, a leader di una realtà che fattura 40 milioni di euro all’anno. Il tutto in soli dieci anni, dal 2013 al 2023 (periodo che, tra l’altro, non è stato certo uno dei più floridi per il Bel Paese)».
Atala
Si salta dai flashback dell’infanzia: «Per la promozione avevo chiesto ai miei genitori una bicicletta, l’Atala Hop. Non era una bici da cross, era la bici da cross,» alla consapevolezza dell’età adulta: «Sono fiero del fatto che la mia venga riconosciuta come un’azienda solida, ben patrimonializzata, ricercata dai fornitori e stimata da clienti e concorrenti». E prosegue con un approccio endoscopico, a tratti intimo. «Non so quanto i miei collaboratori apprezzino tutti i video e podcast motivazionali che invio loro la domenica mattina, ma una cosa è certa: continuerò imperterrito ad assicurarmi che tutti coloro a cui tengo non si diano per vinti prima ancora di averci provato».
Monopoli. E la giovinezza di AS
«Amavo Monopoli, la mia città natale, ma in quegli anni le strade proliferavano di bulli e delinquenti che io non avevo le doti (perlomeno quelle fisiche) per affrontare. Vero, ma in fondo l’ossessione unita alla perseveranza vince sempre. Ho trovato un Andrea Procoli in ogni ambito della mia vita, in ogni contesto, in ogni situazione». Un balzo in avanti, ancora il numero 5, potere e suggestione della cabala. «Al primo esame della sessione di maggio (Analisi 1), presi 30». La fondazione di AS Labruna risale al 1971. «Era nata come concessionaria di trattori SAME e aveva cominciato nei primi Anni 80 a vendere motori diesel per un’applicazione marina del marchio Iveco AIFO, affiancando alla concessionaria un’officina di riparazione». In seguito, «grazie alla mia relazione sul mercato albanese, l’azienda di mio padre riuscì ad ottenere un mandato esplorativo per la vendita di motori marini Iveco AIFO in Albania. Nel 2002, quando la pioggia smise di cadere ci ritrovammo con cinque metri di acqua e fango nel deposito e mezzo metro negli uffici. Mio padre, quel giorno, mi insegnò che anche la peggior crisi va gestita senza perdere la calma, o almeno non dandolo a vedere ai propri collaboratori. Era il 2010 quando il mio pallino per l’innovazione mi spinse a studiare un nuovo sistema di propulsione per le imbarcazioni. Il 5 gennaio del 2011 ci fu il varo della prima barca, che lasciò la banchina del cantiere a una velocità di appena tre nodi. Nel giro di pochi minuti scoprii che c’era un blocco nel software. Imparai che non si può vendere al cliente un prototipo (a meno che non ne sia consapevole, naturalmente». In seguito, avviene l’inevitabile resa dei conti, in senso stretto, con la contabilità. Quella degli istituti di credito: «Abbiamo sbagliato noi – ammise (il padre, ndr) dopo una pausa. Mai arrivare ad avere poca liquidità. Quella frase mi rimase impressa. Ancora oggi per me è una regola ferrea». E quella dei commercialisti: «È incredibile – ribatté il commercialista strabuzzando gli occhi. Mai conosciuto un cliente che volesse pagare delle tasse non dovute».
«Chilometro nove. Corro e penso, penso e corro. Ero convinto che fosse arrivato il momento di innovare. I primi prodotti che decisi di creare furono dei gruppi elettrogeni e delle motopompe (ne realizzammo trenta per la protezione civile del Kazakistan). Passammo alla produzione di motori marini, per poi arrivare a powertrain completi, marini e terrestri. Tutti dotati di innovativi sistemi di monitoraggio e manutenzione predittiva con l’utilizzo della blockchain. Lanciare un nostro brand ci diede due grandi vantaggi. Ci slegò dai territori in cui avevamo i mandati di vendita. Si aggiunse parallelamente il cambio del modello di distribuzione. Oggi siamo gli unici nel nostro settore con il digital twin nel metaverso».
Umanità, perplessità e metamorfosi
«Sostenevo di delegare, ma non delegavo davvero: non ne avevo il coraggio. Decisi di parlare a cuore aperto a tutta la squadra. Mi scusai per l’atteggiamento che avevo avuto negli ultimi tempi e chiesi loro di seguire il mio nuovo “me” lungo la strada che volevo intraprendere insieme al loro. Decisi anche di organizzare un hot seat con tutti i commerciali, seduti a ferro di cavallo. Lo chiamai, a posteriori, “progetto aria pulita”, perché ci permise, finalmente, di respirare a pieni polmoni»
I tre pilastri e il piano
«La base di ogni pianificazione strategica è costituita da tre pilastri fondamentali: la definizione del purpose aziendale, quella dello scenario attuale e la definizione degli obiettivi strategici. Il purpose deve essere emozionale e deve emozionare, perché rappresenterà l’onboarding per tutta l’organizzazione e l’identificativo per il contesto socioeconomico. Una volta chiariti il punto di partenza e il punto di arrivo, definisci cinque obiettivi strategici da centrare nei successivi cinque anni, seguendo il principio del miglior risultato con il minimo impiego di risorse. In seguito potrai definire obiettivi di rifinitura e miglioramento. Per costruire il nostro piano di azione suddividemmo ogni obiettivo strategico in obiettivi tattici (orizzonte temporale 2/3 anni) e operativi (6 mesi/1 anno)».
Rush finale
«Guardo l’orologio: mancano 200 metri al traguardo dei 10 chilometri. Bisogna tenere la testa bassa nel successo e la testa alta nel fallimento. Ok, che problema devo risolvere? So che quello che risolvo oggi mi darà dei frutti domani. È una crescita fragile, quella che non passa attraverso delle difficoltà».
Come chiudere questa recensione sui generis? Esattamente con la citazione dalla quale siamo partiti. «Ho tagliato il traguardo dei dieci chilometri e ne ho fatto anche uno in più». Perché, come scandisce Massimo Labruna a pagina 146, a quattro capoversi dalla fine, «Non esistono traguardi, solo blocchi di partenza».