Nei prossimi anni il tema della propulsione a idrogeno nella nautica vedrà impegnati, sia a livello di ricerca che di investimenti, studiosi e aziende per creare nuovi punti di riferimento e costruire un network che colleghi efficacemente il mondo della ricerca a quello della produzione. 

A introdurre l’argomento e a moderare l’incontro è Andrea Ratti, professore di Yacht Design al Politecnico di Milano. «Nella nautica c’è un orientamento marcato verso i sistemi di propulsione elettrica, nonostante comportino una serie di problematiche non risolte. Ciò ha permesso la sistematizzazione di altre tecnologie che saranno di grande supporto nella fase di transizione». Dopo i saluti di Davide Polotto, Business Developer and Relationship Manager del Made – Competence Center Industria 4.0, una struttura dove «le aziende possono veramente toccare con mano le tecnologie digitali», e di Bruno Della Loggia, presidente di Atena, la parola passa a Filippo Ceragioli, professore di design strategico per lo yachting e attivista dell’associazione Parley for the Oceans, nata negli Stati Uniti per educare al rispetto marino coinvolgendo anche le aziende che intendono abbracciare questo tipo di responsabilità. 

Nelle mani degli armatori

«Gli armatori e gli imprenditori hanno il potere di cambiare l’offerta di un settore. Per questo cerchiamo di stimolare il fatto che i nuovi armatori rendano “marine” tecnologie che per ora si trovano solo nei centri di ricerca». Nell’ambito dell’idrogeno, infatti, Parley supporta diverse operazioni tra università e centri di ricerca, cercando di sviluppare sinergie tra le parti coinvolte.

A introdurre la parte normativa relativa alle nuove tecnologie è Lorenzo Pollicardo, Technical & Environmental Director di Superyacht Builders Association (SYBAss), organismo che rappresenta a livello mondiale la maggioranza dei cantieri che realizzano barche a motore oltre i 40 metri e all’incirca l’80 per cento delle tonnellate di stazza prodotte nel mondo. Pollicardo rappresenta inoltre la Wrf (Water Revolution Foundation), indipendente dall’industria ancorché composta da una componente industriale. «Con Wrf SYBAss, ovvero la cantieristica internazionale dei grandi yacht, ha voluto dotarsi di uno strumento autonomo su base scientifica su cui fondare le proprie attività in modo coerente e non confutabile da parte degli stakeholder normativi internazionali. Analizziamo il più ampio punto di vista normativo internazionale per poi considerare il mercato. Partecipando alle riunioni sulla sicurezza e sull’ambiente dell’Imo, osservo che se si guarda al complesso dell’impatto normativo dei grandi yacht e in particolare alla CO2 prodotta e alle emissioni dei gas serra, l’approccio per ora è stato quello di occuparsi di quell’85 per cento dalla flotta mondiale che produce impatto su aria e acqua, misurando il miglioramento a partire dal 2008. In questa percentuale non è ancora compresa la nautica da diporto. Oggi la flotta degli yacht oltre i 30 metri comprende 6.000 unità, mentre trent’anni fa era di 1.300 e nel 2008 di 3.000 unità: se consideriamo questi numeri, pensare dal punto di vista normativo di essere lontano dal radar delle convenzioni internazionali è presunzione.

“Ghg strategy”

Le Nazioni Unite, tramite l’Imo, hanno dettato nel 2018 una “Level of Ambition” o “Ghg Strategy”, un obiettivo di perseguimento che punta a ridurre nel 2050 del 70% le emissioni di CO2 dal naviglio marittimo e per il 50% il totale delle emissioni dei gas serra. Entro fine anno la mission verrà ulteriormente incrudita in seguito alla Cop26 di Glasgow. Chi si aspettava che la crisi Covid avrebbe generato un annacquamento di questi obiettivi, è rimasto deluso, così come ritengo che anche la crisi energetica che ci apprestiamo ad affrontare non cambierà nella sostanza questo approccio. Questo livello viene interpretato lungo tre linee di azione che l’Imo definisce short-term, mid-term e long-term strategy. La prima fase consiste nel considerare tutto ciò che il naviglio marittimo esistente può già fare per l’efficientamento energetico (idrogeno, carene, efficientamento nel design). Non arriveremo mai agli obiettivi del 2050 se non adottiamo nuovi sistemi propulsivi e nuovi combustibili. Water Revolution sta lavorando esattamente per promuovere tutto questo aspetto. Recentemente ho organizzato un incontro con le autorità inglesi e i cantieri di passenger yacht (che portano da 12 passeggeri a 36 passeggeri), che la Marple (convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi) considera navi e quindi già oggi devono rispettare le norme dell’Imo. Un grande cantiere ha osservato che riducendo la velocità della nave si persegue l’obiettivo di essere “compliant”, ma il beneficio per l’ambiente è ridicolo rispetto a quello che si avrebbe semplicemente migliorando invece la progettazione di bordo. Per questo abbiamo creato una task force all’interno del Technical Committee che io gestisco per poter lavorare a questo obiettivo proponendoci a un’industria sensibile al tema della sostenibilità. Il settore marittimo sta cercando degli sponsor per la ricerca sulle nuove tecnologie e i nuovi combustibili. Sulle barche grandi gli sponsor ci sarebbero già, perché è più facile adottare dei sistemi che già oggi sono concepiti per le navi commerciali. 

Da input a driver

Ciò che possiamo fare è trasformare questa richiesta in un driver di mercato. I nuovi acquirenti non appartengono più al mondo della finanza ma a quello della new economy, quindi sono più giovani e inclini a chiederci prodotti sostenibili. Andrà valorizzato il tema del valore economico e occupazionale del settore insieme a quello della sostenibilità. Per perseguire gli obiettivi bisogna affrettare l’adozione di nuovi sistemi propulsivi e di nuovi combustibili. Sui temi della sicurezza, la tecnologia è sempre stata trascinata dall’impianto normativo, ma se parliamo di salvaguardia dell’ambiente dobbiamo riconoscere che non è solo un’opportunità, ma un must. Sarà la tecnologia a fare da driver sulla normativa.» 

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